Autore

Mauro Di Vito

Titolo

Orologio di eventi geologici e vita dell’uomo

Date

2019

Coordinate

40° 49' 9.84" N 14° 25' 39.72" E

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1 - Io e la stratigrafia. Immagino la stratigrafia come un grande libro da sfogliare, con migliaia di pagine e milioni di parole, segni, tracce delle precedenti letture e frequentazione delle pagine da altri lettori, che può essere letto da persone che parlano lingue diverse, interessate a diversi concetti espressi dallo scrittore, e con capacità di lettura molto diverse, con livello di istruzione diversa e interessate a differenti argomenti trattati nel libro. Un libro che deve essere letto da lettori esperti in diverse discipline e con le tecniche di lettura e comprensione più avanzate possibili.

Questo libro si legge dal basso verso l’alto e dall’ultima pagina alla prima, perché gli strati del sottosuolo si accumulano uno sull’altro ed ognuno ci racconta del processo che lo ha formato, del tempo in cui è stato depositato, del clima, dell’ambiente, delle piante, delle comunità viventi. La progressiva deposizione degli strati successivi nasconde, ricopre le informazioni dello strato precedente, ma che restano in gran parte all’interno dello stesso livello. Possiamo immaginare gli strati come le pagine del libro e le informazioni contenute nello strato come le parole scritte, le pieghe delle pagine, le sbavature della penna, le cancellature. Se scendiamo nel sottosuolo ci accorgiamo che le pagine sono scritte in periodi via via più antichi e che se confrontiamo “libri” di luoghi diversi, ci accorgeremo che in un certo periodo in alcune aree sono state scritte molte più pagine: lì i processi geologici sono stati molto più intensi e hanno lasciato più tracce. La nostra capacità di leggere tutte le pagine e di intuire il significato di tutte le parole scritte dipende da molti fattori.

Uno dei metodi impiegati per “leggere” gli strati è il confronto tra i sedimenti generati dai processi naturali attuali e quelli simili che osserviamo tra gli strati del sottosuolo. Osservandoli con attenzione vediamo che questi contengono molte informazioni che possono essere diverse da quelle che registriamo oggi. Ad esempio, nei sedimenti depositati sui fondali marini scopriamo che il mare era popolato da specie diverse da quelle attuali, di ambiente più caldo o più freddo, o che i resti di piante o i pollini contenuti nei sedimenti appartenevano a specie diverse da quelle che oggi sono presenti sul territorio. O che dove oggi c’è una città prima c’era una palude e, prima ancora, quell’area era invasa dal mare.

Un ulteriore problema che si affronta è la determinazione dell’età di formazione dei vari strati. La stratigrafia ci permette di determinare quale di essi sia stato depositato prima o dopo, e ne fornisce quindi l’età relativa. Se vogliamo sapere l’età assoluta possiamo effettuare vari rilievi: suno di questi è l’analisi sui resti fossili di animali vissuti solo in un certo periodo, come ad esempio i dinosauri, e sedimentati tra le rocce; un altro è l’analisi di oggetti di età nota (come monete antiche o vasi e altri oggetti che venivano prodotti ed utilizzati da specifiche comunità), sepolti dai depositi delle eruzioni vulcaniche. L’età dei terreni, in questi casi, si può definire come contemporanea o successiva a quella degli oggetti ritrovati. A partire dagli anni ’50 sono stati sviluppati altri metodi che sfruttano la presenza nelle rocce di alcuni elementi radioattivi: questi hanno una storia di decadimento molto precisa che è possibile misurare in laboratorio. In questo modo si ottiene l’età assoluta delle rocce, sempre più accurata quanto più progrediscono le conoscenze e le tecnologie sviluppate per le misure.

Poniamo ora di aver studiato esattamente la stratigrafia del sottosuolo di una determinata area e di averne elencato gli eventi registrati dagli strati. Se vogliamo confrontare la storia geologica di quel luogo con quella di altri più o meno vicini, avremo bisogno di correlare gli eventi geologici delle singole aree. Scopriremo che nello stesso tempo quei luoghi hanno registrato eventi in ambienti diversi: sedimentazione marina, in lago, in piane alluvionali, o in aree di erosione, dove i processi non generano sedimenti, ma provocano asportazione di materiale che può cancellare le tracce degli eventi precedenti. La sincronizzazione di questi eventi si può ottenere con la datazione degli strati o con la correlazione tra le sequenze di rocce utilizzando alcuni elementi comuni. Possiamo correlare quindi i livelli simili e coevi, ma noteremo che in molti casi anche nello stesso luogo gli strati possono avere caratteristiche leggermente diverse, corrispondenti a piccole variazioni del corpo stesso o dell’ambiente dove questo si è depositato. Un esempio sono le colate di lava che, scorrendo lungo le valli, cambiano le proprie caratteristiche molto rapidamente in funzione della loro velocità, della presenza di ostacoli, del raffreddamento superficiale e di molti altri fattori, pur essendo generate sempre dallo stesso magma. Possiamo dire che lo scorrimento di una colata di lava è un evento unitario, rapidissimo dal punto di vista geologico, ma se osserviamo lo scorrimento di una colata, e mi vengono in mente i numerosi filmati delle colate del Vesuvio, dell’Etna, delle Hawaii, capiamo che ogni porzione di colata può raccontare una singola storia: la colata ha incontrato un albero, ricoperto una strada, distrutto una casa o incendiato un bosco e subito a fianco, dove la colata non è scorsa, non si rinviene nessuna traccia della lava. Un altro esempio deriva sempre dalle eruzioni vulcaniche e in particolare dalle grandi eruzioni esplosive come le Pliniane. Queste eruzioni generano depositi di cenere che si distribuiscono su aree di migliaia di chilometri quadrati. Le loro tracce ci permettono di datare le sequenze di rocce di aree molto lontane tra loro in modo estremamente preciso. Questi depositi, sedimentati in brevissimo tempo nei laghi, nel mare, sulle montagne, nei ghiacci, nelle grotte… permettono di correlare, cioè di regolare l’orologio della sedimentazione su aree vastissime.

Immaginiamo di osservare stratigrafie in diverse parti del mondo. Scopriremo che ci sono aree dove alcuni depositi con grande distribuzione areale, come per esempio le ceneri generate da grandi eruzioni esplosive, sono molto profonde, mentre in altre sono estremamente superficiali e in altre ancora non sono affatto presenti. Questo dipende dal fatto che i processi geologici che determinano la formazione degli strati e la loro entità possono variare molto in diversi ambienti deposizionali. Ad esempio, in una piana alluvionale, si formeranno spessi depositi prodotti dalle inondazioni che si sono susseguite ricoprendo quel deposito di cenere che stiamo studiando, mentre sui rilievi circostanti questa cenere, se conservata, sarebbe estremamente superficiale. Se poi effettuiamo i nostri rilievi nei sedimenti di un lago vicino, troveremo lo strato di cenere molto ben conservato e ricoperto da sottili sedimenti del lago. Ciò significa che non possiamo pensare solo alla profondità per correlare gli eventi coevi passati, ma dobbiamo sincronizzare adeguatamente e correttamente i nostri “orologi”.

2 - La stratigrafia è una scienza esatta? No! La mia esperienza, così come l’osservazione dei progressi compiuti negli studi geologici e vulcanologi negli ultimi decenni, conferma la risposta negativa. La nostra capacità di ricostruire la storia indicataci dalla stratigrafia dipende da:

  • capacità personale,
  • complessità della situazione geologica,
  • progressi nelle conoscenze,
  • disponibilità di nuove tecnologie,
  • conoscenza dei processi passati e presenti che generano alcuni depositi e similitudine tra strati moderni e strati antichi, nei relativi contesti.

Ne deriva che il nostro modello, la nostra storia letta negli strati, sarà la sintesi migliore possibile allo stato attuale e con le conoscenze e la disponibilità di tecnologie attuali. La stessa roccia o sequenza di rocce, se analizzata dopo aver osservato un ipotetico processo mai osservato prima dall’uomo, può portare a interpretazioni diverse dello strato. L’applicazione di nuove tecnologie o l’esecuzione di nuove analisi, non disponibili prima, può sicuramente aumentare la nostra capacità interpretativa. Quest’ultima si è giovata, specialmente nel recente passato, di un approccio multidisciplinare agli studi di settore. Esperti diversi, leggendo lo stesso libro, sono in grado di cogliere tutte le sfumature del suo contenuto. Come persone diverse che osservano lo stesso dipinto, potrebbero essere attratti da diversi aspetti e capaci di individuarne elementi diversi: la tecnica di pittura, lo stile, il soggetto rappresentato, il contesto, la bravura dell’artista, i materiali impiegati. Il tutto contenuto in una sola immagine, risultato di un processo complesso e, spesso, irripetibile.

3 - Un viaggio immaginario nella stratigrafia di un vulcano. La storia di un vulcano è anch’essa un libro da sfogliare. Contiene tracce di grandi eruzioni, di lunghi periodi di quiescenza, di eruzioni di bassa energia, dell’interazione del vulcano con il territorio circostante e, spesso, con le comunità che hanno scelto il territorio del vulcano per vivere, per coltivare, per costruire i propri villaggi, le proprie città, in un comportamento che è apparentemente incomprensibile. La ragione, però, è facile da comprendere, in quanto la maggior parte della vita di un vulcano (come quella del Vesuvio) è caratterizzata da lunghi periodi di inattività che, spesso, sono più lunghi della vita umana. I forti benefici di vivere in un territorio vulcanico vicino al mare, inoltre, sono stati da sempre forti attrattori per le comunità.

Il viaggio...

Salgo sul Vesuvio, partendo da Napoli, e nel mio viaggio incontro molti tipi di rocce vulcaniche: colate laviche, banchi di ceneri, livelli di pomici chiare e di scorie scure, tufi con diverse caratteristiche. Eppure non riesco a capire quando sono state prodotte dal vulcano ed in quale sequenza. Vorrei conoscere la storia del vulcano e immaginarne le eruzioni. Salendo dalle pendici vedo che la strada si fa sempre più ripida: sono partito da un’area pianeggiante e sto salendo su un cono vulcanico. Arrivo fino all’ampia voragine del cratere. Guardo all’interno e riconosco alcune delle rocce che avevo incontrato lungo la salita. Vedo una sequenza di banchi di lave scure e strati di scorie rossicce. In vari punti il vulcano emette vapore caldo, di odore acre. Ne misuro la temperatura e mi accorgo che supera i 100 gradi. Consulto la mia carta geologica e mi accorgo che le rocce che ho visto sono molto giovani, hanno poche centinaia di anni. Sono state prodotte durante eruzioni poco esplosive, simili a quelle dell’Etna: colate di lava, fontane laviche, esplosioni stromboliane. L’ultima è avvenuta nel marzo del 1944. Le esplosioni delle fasi più intense dell’eruzione hanno formato l’ampio cratere attuale, profondo più di 300 metri e largo 700 (Fig. 1). Mi incuriosisce un piccolo edificio sul lato opposto del bordo del cratere, da lontano si legge un’insegna, ma non riesco a leggerla. Mi avvicino sempre di più e leggo: “ascensore stratigrafico – macchina del tempo”. Sono incuriosito, non sapevo di questa nuova invenzione. Varco la soglia del piccolo edificio e vedo che sono all’ultimo piano. L’indicatore luminoso indica 1944: siamo sugli strati prodotti dall’eruzione. Le porte si aprono e vedo una pulsantiera che al posto dei numeri dei piani ha delle date. Le riconosco, sono le date delle eruzioni del Vesuvio.


Fig. 1. Cratere del Vesuvio, in secondo piano il bordo della caldera del Monte Somma.


Nella cabina dell’ascensore vedo i tasti 1906, 1631, 472, 79, 1900 a.C …, 40.000 anni è il piano più basso. Dev’essere la data di inizio della formazione dell’edificio vulcanico del Monte Somma, la parte del vulcano più antica.

Seleziono il tasto 22.000 ed entro in una successione di colate di lava e scorie. Il vulcano mi sembra molto più alto di adesso e intorno a me c’è forte attività. Sta accadendo qualcosa di importante e catastrofico: un’eruzione Pliniana, ma questa è la prima, la più antica. Vedo che dal vulcano si alza una colonna eruttiva alta almeno 30 chilometri che disperde ceneri e pomici su un’area vastissima. L’eruzione dura pochi giorni e la quantità di materiale emesso supera alcuni chilometri cubici, tanto che la camera magmatica, irraggiungibile dall’ascensore perché è alla temperatura di quasi mille gradi, si svuota quasi completamente. Un pezzo di vulcano, la parte più alta dell’edificio, collassa su sé stesso e forma una caldera (Fig. 2). C’è forte sismicità, il suolo vibra continuamente, l’aria è irrespirabile, c’è cenere dovunque, fa molto caldo, ma resisto, curioso, per arrivare alla fine. Vedo che la parte più alta del vulcano è scomparsa, sprofondata. Ora il vulcano ha una grossa depressione ellittica al centro, bordata da una ripida scarpata. La riconosco, ho già visto questa scarpata dal ciglio del cratere, prima di prendere l’ascensore (Fig. 3).


Fig. 2. Ricostruzione ideale (in rosso) della forma del Somma prima del collasso calderico avvenuto 22.000 anni fa. Nel riquadro una vista a volo d’uccello.


Ripresomi dallo spavento, guardo di nuovo la pulsantiera e scopro che ci sono tanti tasti illuminati di verde. Sembrano rassicuranti. Ne schiaccio uno che non contiene una sola data ma un intervallo, 6000-1950 a.C. L’ascensore mi porta alle pendici del vulcano, dove osservo i suoi versanti verdeggianti e rigogliosi. Non è attivo adesso. Tutt’intorno a me ci sono campi coltivati, molti animali, cacciatori, contadini che arano con aratri trainati da animali, altri che portano al pascolo greggi. Tutto è cambiato rispetto alla devastazione a cui ho assistito prima: il vulcano ridona la vita, fertilizza i suoli, attira popolazioni. Guardando meglio scopro che ci sono anche strade e agglomerati di capanne costruite con legno e paglia (Fig. 4). Consulto la mia carta geologica, sfoglio il libro nelle pagine giuste e scopro che tutto questo non durerà ancora a lungo. Il vulcano si prepara a generare un’altra eruzione Pliniana, quella che avverrà alla fine del Bronzo Antico e che devasterà tutta l’area intorno al vulcano per migliaia di chilometri quadrati, sigillando per sempre nel sottosuolo tutto quello che ho visto. Gli archeologi e i vulcanologi ritroveranno le tracce di queste civiltà antiche dopo 4.000 anni.


Fig. 3. Scarpata della caldera del Monte Somma. Ai piedi della scarpata la colata lavica dell’eruzione del 1944, di colore grigio chiaro. Nella scarpata, formatasi a seguito del collasso calderico, si vedono le rocce prodotte durante l’attività antica del Monte Somma, costituite la colata di lava e scorie di attività esplosiva di bassa energia. Al centro, Punta Nasone. Visibile anche nella Fig. 1.


L’eruzione del Bronzo Antico mi ha incuriosito. L’ho studiata, e ora voglio vedere i fenomeni dal vivo. Premo decisamente il tasto 1950 a.C. Lo scenario eruttivo non è molto diverso da quello di 22.000 anni: un’alta colonna eruttiva, solo che la cenere e le pomici cadono verso nordest, verso l’area dove sarà fondata Avellino. Spesse coltri di cenere e lapilli si stanno accumulando sul suolo. Già molti villaggi sono distrutti, il paesaggio è irriconoscibile, il cielo invisibile. L’eruzione dura già da diverse ore: boati fortissimi, terremoti, aria irrespirabile. Ma improvvisamente i fenomeni diventano più intensi. Guardo verso nordovest, dove la situazione mi sembra più tranquilla, e scopro che ci sono intere comunità in fuga, con i loro armenti, piccole provviste di cibo e oggetti di valore, molti dei quali in bronzo. Stanno andando verso nord, si allontanano dal vulcano. Camminano sulla cenere calda appena depositata e lasciano prima le impronte del loro passaggio. Procedono in gruppo, adulti, bambini, animali. Molti trascinano oggetti. Guardando meglio vedo che passano vicino ad un villaggio di capanne parzialmente distrutto. Qualcuno entra in una capanna. Oggi quel villaggio si trova lungo l’attuale linea dell’alta velocità e le tracce delle buche di palo delle capanne, della migrazione, della devastazione, sono tutte visibili e preservate nella stratigrafia del deposito dell’eruzione (Fig. 5). L’intera area intorno al vulcano resterà quasi disabitata per alcune centinaia di anni.

Stanco, ma sempre più curioso, premo il tasto 472 d.C. Siamo alla fine dell’Impero Romano. L’area è in decadenza, molte delle sontuose ville che circondavano il vulcano sono in stato di parziale abbandono. C’è forte sismicità, e nell’acquedotto romano che porta l’acqua dai vicini Appennini non c’è acqua. I muri delle case, già in parte abbandonate, cominciano a cadere. Il vulcano si rigonfia, sta salendo magma dal profondo, l’eruzione è imminente. Cominciano fortissime esplosioni, la miscela di frammenti di magma e gas viene espulsa dal condotto del vulcano a velocità supersonica, risalendo nell’atmosfera per alcune decine di chilometri. Dalla bocca del vulcano vengono espulsi grossi blocchi e bombe che cadono al suolo come proiettili sfondando i tetti e conficcandosi nel suolo. La nube alimentata dalla colonna si dirige verso nordest, come quella dell’eruzione di alcune migliaia di anni prima, e ricopre un’area vastissima, con al centro il territorio di Nola. L’anfiteatro, le basiliche, la città intera, vengono ricoperte da uno spesso strato di lapilli. A un tratto la colonna eruttiva non è più sostenuta dalle esplosioni e collassa su sé stessa generando flussi piroclastici ad alta temperatura che scorrono lungo i fianchi del vulcano fino alla piana circostante, sommergono tutto quello che incontrano. La loro temperatura è molto alta, più di 300°. La quantità di cenere e pomici sul vulcano, nella piana e sugli Appennini è molto abbondante. Il vulcano ha emesso nell’aria un’enorme quantità di vapore che condensa generando abbondantissime precipitazioni. La cenere accumulata diventa fango e comincia a scorrere e inondare la piana. La massa fangosa riempie tutto, valli, strade, case e monumenti. I fenomeni durano molti mesi e rendono inabitabile un’area vastissima intorno al vulcano.


Fig. 4. Immagine ricostruita della vita in un villaggio del Bronzo Antico al momento dell’eruzione vesuviana del Bronzo Antico (modificata dalla copertina di “Il villaggio del Bronzo Antico di Nola”, Litografia Sicignano, Pompei, 2005).


Esausto schiaccio il tasto 0, riemergendo dal profondo. Sono ritornato all’anno attuale. Incontro i miei colleghi vulcanologi che stanno facendo rilievi sul vulcano. Stanno istallando stazioni per misurare il gas che alimenta le fumarole, per registrare i terremoti, per verificare se il vulcano si sta deformando, per poter valutare, quindi, lo stato del vulcano. Osservo nuovamente il vulcano. Le tracce dell’ultima eruzione, quella del 1944, diventano sempre più labili. La vegetazione sta ricoprendo le pendici dell’edificio. Ho già visto nel mio viaggio un paesaggio simile. Il vulcano non è spento, adesso dorme. Mi piacerebbe avere un ascensore capace di salire verso il futuro, su, fino alla prossima eruzione, ma so che, almeno per adesso, quel pezzo di ascensore non è stato ancora costruito.


Fig. 5. Impronte di uomini in fuga, impresse nella cenere nel corso dell’eruzione del Vesuvio di 1950 anni a.C.